Opera dello scultore palermitano Giuseppe Orlando, è datata 1757. Sorge sul lato occidentale di piazza Cavour, dove fu trasferita nei primi dell'Ottocento, dopo caver decorato per quasi mezzo secolo la piazza Università, allora piano degli Studi, proprio davanti al palazzo del "Siculorum Gymnasium". Era stata innalzata, "essendo re delle Due Sicilie Carlo Sebastiano di Borbone", dai notabili della città (il vescovo Pietro Galletti, graqn cancelliere del regno, Giovanni Riccioli, vicecancelliere, Alessandro Clarenza, patrizio, e Domenico Anzalone), "per il bene comune", come ricorda un ornatissimo cartiglio dietro il basamento della statua. Sul lato anteriore invece vi è la dedica: "Essa (la dea) un tempo dettò leggi e diede miti alimenti alle terre. Ora ricordandosi della patria, dal marmo fa piovere la ricchezza". Narra Lucio Sciacca che nel 1756 Carania era afflitta da una carestia provocata da una prolungata siccità per cui i cittadini "decisero di ingraziarsi la dea Cerere (fra le più qualificate e importanti dell'Olimpo, essendo figlia di Saturno e madre di Proserpina) col tributarle solenni onoranze, facendo in modo che, sotto le pubbliche pressioni, essa si ricordasse di Catania" e spingesse così la città fuori dal tunnel della fame. Di qui l'iniziativa di innalzare quel monumento, innaugurato l'anno successivo con grande pompa. Ma non si sa "se la dea, lusingata dell'onore fattole dal clero e dal Senato catanese, abbia accolto l'istanza e abbia fatto piovere la ricchezza su Catania". Si sa invece che, passato lo stato di necessità, il popolo catanese ignorò quell'occasionale protettrice e anzi la guardò di malocchio, scorse i primi difetti, scoprì che, tutto sommato, si trattava di una gran brutta cosa ch'era meglio togliere da quel sito e coninare altrove.". E così venne decretato l'ostracismo a Cerere, nella quale molti avevano identificato Pallade per cui la dea si ebbe il nomignolo, ancora in voga, di "Topallara", e il suo trasferimento in zona periferica, oggi piazza Cavour. La fontana è di pregiato marmo di Carrara ed è decorata con conchiglie e delfini. Alla dea, in più occasioni è stato rotto il naso a sassate. Anche la falce che tiene in pugno è stata mandata in frantumi. L'uno e l'altra furono rifatti, l'ultima volta, agli inizi degli anni '50, dallo scultore M. M. Lazzaro, che diede anche una ripulitina a tutto il monumento.