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Il Palazzo Petyx
Palazzo Petyx ha una facciata con un’impaginazione neo-rinascimentale nelle incorniciature delle finestre e dei balconi e soprattutto nello sporto ligneo, di gusto toscano, che orna perimetralmente tutti i lati dell’edificio, certamente risalente all’impianto originario voluto dal Nicolai e dai Dagnino.
Sono in malta di cemento con due grifoni da bestiario medievale, le due mattonelle collocate ai lati del balcone centrale, sopra il grande portone d’ingresso, così come sempre in malta sono le fasce sovraffinestre con decorazioni fitomorfe tra il neo-quattrocentesco e il liberty, che mescolano, in un sincretismo eterogeneo, già post-moderno, elementi di diversa epoca e gusto.
La severità dell’insieme viene rallegrata dall’arioso fascione di coronamento in vetro dipinto con motivi floreali su fondo celeste, un delizioso tocco liberty, che dà un gioioso effetto di luminosità art nouveau al complesso.
La costruzione della palazzina avviene in un’epoca in cui si era già consolidata nella città, ad opera di Ernesto Basile e degli altri architetti che guardavano alla sua opera, il desiderio da parte delle famiglie più abbienti di possedere una casa progettata come opera d’arte totale.

Più delicati, semplici e ariosi, rispondenti a certo gusto degli anni Venti, erano sia i decori sia l’arredo dei vari salottini e budoir, che si susseguivano fin dall’ingresso.
Oltre la grande porta, la parte restante del vestibolo ha delicate decorazioni anni Venti in stile veneziano su fondo ocra e vi si aprono, sulla destra, la porta d’accesso al salone, sulla sinistra la porta della stanza del camino. Da questa sala neo-rinascimentale, prima Studio dei Dagnino, poi forse sala da pranzo dei Petyx, oggi stanza del Presidente della Banca Popolare Sant’Angelo, si sprigionava la severità maggiore, dal momento che uffici di rappresentanza e fabbriche non richiedono, come le case private, l’apparenza, ma una composta e seriosa austerità da locali d’affari.
Il massiccio e complesso cassettonato ligneo, frutto di un abile e intelligente lavoro artigianale, era ravvivato solo dalla cornice di chiusura, dalle eleganti e snelle decorazioni in rilievi lignei di gusto floreale (ma proprie anche del Rinascimento), con l’inserimento di quattro stemmi araldici di famiglie aristocratiche, che si ripetevano lungo il perimetro.
Tra questi quello dei Petyx con due leoni rampanti coronati, lo scudo quadripartito, in inquartato e controinquartato, con due aquile e due disegni in diagonale della famiglia Caetani, dei conti di Bastiglia, imparentata con i Petyx, la Croce dei Templari, l’ultimo, non identificabile, ma simile a quello della famiglia Magnasco. Una certa imponenza rinascimentale voleva avere il camino anch’esso ligneo, decorato da due angeli sempre lignei, reggenti uno stemma senza araldica e inserto, tuttavia non di elegantissima fattura. Il fiore all’occhiello del Palazzo era ed è il grande salone di rappresentanza, che per più decenni vide muoversi al suo interno il fior fiore della borghesia palermitana.

Nel ricordo degli attuali discendenti dei Petyx, il bel dipinto che si può ammirare sul soffitto era attribuito in famiglia a Vito D’Anna, una vera e propria tela rettangolare acquistata dai nuovi proprietari, modellata nel bordo e preziosamente incorniciata per adattarla al soffitto, come negli antichi saloni. Il grande dipinto, più che a Vito D’Anna potrebbe attribuirsi al figlio Alessandro, autore di molte sovrapporte di palazzi signorili palermitani o forse anche a qualcuno dei migliori allievi della sua scuola. La tela è circondata da otto sovrapporte dipinte su tavola, di forma e stile diversi (quattro rotondeggianti e quattro ovali), con incorniciature rococò di legno dorato come quella della tela centrale, risalenti certamente al secolo XX, pur se ricalcano iconografie paesaggistiche tipiche del Settecento. L’amore antiquario della famiglia, nel momento della ristrutturazione dell’edificio, trasformato in abitazione, spinse i Petyx ad acquistare il meglio che offriva il mercato antiquario palermitano e a chiamare i migliori artigiani, per dare alla casa un’impronta aristocratica e lussuosa, destinata ad esibire le antiche origini della stirpe.
Tra salone e sala da pranzo, un locale di disimpegno è impreziosito da un dipinto rettangolare di stile neo-classico (nel suo retro nasconde un volto di donna secentesco), che, su uno sfondo paesaggistico ottocentesco, movimentato dalla presenza di due figure, di cui quella femminile si specchia nell’acqua, ha in primo piano un bel nudo di donna con in grembo due puttini. Il palazzo aveva, dunque, una sua facies pregevole, eclettica, come si è detto, oscillante tra antico e moderno, per una certa ritrosia ancora permanente ad accettare uno stile tutto nuovo, che azzerasse completamente il passato: una facies che fa ancora alzare in alto gli occhi di chi passa per via Enrico Albanese e che oggi è quella della prestigiosa sede della Banca Popolare Sant’Angelo a Palermo.

Il terreno sul quale si trova Palazzo Petyx, di proprietà della contessa Maria Wilding di Radaly, viene acquistato nel 1905 dal Cav. Nicolò Dagnino per “uso edificatorio di stabilimento di mobilio”.
La costruzione dell’edificio, pro g e t t a t o dall’architetto Giacomo Nicolai, viene completata nel 1908, a beneficio dei figli Giacomo Luigi e Giovanni Carlo Federico, ai quali, un anno prima, Nicolò Dagnino aveva rivenduto il terreno. L’Opificio Dagnino svolge la sua attività fino al 1918, con la produzione di mobili destinati ad una clientela ricca, che voleva distinguersi da quella di un mercato più comune e che gli stessi Dagnino servivano in altri punti vendita.
Il 30 dicembre 1919 la signora Teresa Anfossi acquista dai Dagnino il fabbricato, come proprietà dotale, per rivenderlo, il 4 maggio 1921, ai coniugi Luisa Roccaforte e Francesco Petyx. È a questo punto che i Petyx iniziano a trasformar e in una residenza aristocratica il palazzo, guidati da un gusto raffinato e dalla passione per l’antiquariato.
I lavori di restauro, abbellimento e trasformazione durano circa dieci anni. I Petyx si fregiarono di uno stemma con l’insegna araldica costituita da due leoni rampanti coronati, sormontati dalla corona baronale e da cinque palle, stemma che era posto sulla facciata del loro palazzo nella piazza centrale di Casteltermini, divenuto nel 1920 sede del Municipio.
 
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