Sull’estremità sud orientale della cima di monte Erice, attorno alle torri merlate che anticamente difendevano il
castello normanno ormai ridotto allo stato di rudere, sorge il giardino del Balio. Il termine “Balio” con cui si usa indicare questo luogo deriva da “baiolo”, il rappresentante dell’autorità regia che durante il medioevo, risiedeva nel castello svolgendo funzioni di giudice civile e sorvegliando la riscossione delle tasse dovute al re.
Il giardino venne impiantato nel 1872 dal conte Agostino Pepoli, che a proprie spese ristrutturò anche le torri adiacenti. La sua struttura riprende quella dei giardini “all’inglese”, con le aiuole circondate da folte siepi di bosso secolare e la vegetazione sparsa costituita prevalentemente da specie della macchia mediterranea come il pino, il frassino, il cipresso, il mandorlo, il leccio.
Il Balio è forse la più importante risorsa di Erice, un vero e proprio monumento naturale creato dall'intelligenza umana che ha valorizzato un luogo di straordinario interesse paesaggistico.
Affacciandosi da uno dei tanti belvedere che si aprono in più punti ai margini del parco, è possibile ammirare panorami mozzafiato: dal lato sud lo sguardo si dispiega in un giro d’orizzonte che partendo dalla nostra destra, abbraccia la falce della città di Trapani attorniata dal mosaico geometrico formato dalle saline, le isole Egadi, la laguna dello Stagnone e le coste del marsalese, per terminare con i colli dell’dell'agro ericino sulla sinistra.
Sul fronte opposto invece, si osservano la cima solitaria di monte Cofano e i monti dello Zingaro, mentre nelle giornate più limpide è possibile distinguere anche la sagoma dell’isola di
Ustica.
Gettando uno sguardo da quassù, è facile intuire le ragioni che più di tremila anni or sono, sul frinire dell’età del bronzo, spinsero gli elimi, popolazione allora stanziata nei territori della Sicilia occidentale, ad edificarvi uno delle loro principali roccaforti assieme a Segesta ed Entella.
Innanzi tutto la posizione panoramica privilegiata che permette di controllare tutto il territorio e la distesa marina circostante. In secondo luogo l’inaccessibilità del sito, che da sempre ha reso pressoché inespugnabile la città di Erice, tanto da preservarne l’esistenza fino ai nostri giorni.
In un’epoca remota le cui testimonianze paiono assottigliarsi nei millenni e risalire fino a confondersi coi miti, qui giungevano marinai, guerrieri e pellegrini provenienti da ogni parte del mediterraneo. Appartenevano ai popoli più diversi, dai fenici ai greci, dai cartaginesi ai romani. Salivano fino al santuario della dea dell’amore, smaniosi di celebrarne i rituali che culminavano nell’unione sessuale con le sacerdotesse ad essa consacrate. Questa divinità capace di riunire attorno a se buona parte dell’umanità allora conosciuta, veniva identificata ora con Astarte, ora con Afrodite, ora con Venere, a seconda della religione di appartenenza del devoto.
Proprio partendo da un rilancio in chiave folcloristica di una parte di questa antichissima ritualità (ad esempio riproponendo le feste della partenza e del ritorno della colomba, le famose anagogie e catagogie che si celebravano nel mese di agosto) e da una migliore valorizzazione complessiva della struttura del Balio, possiamo puntare ad attrarre maggiore clientela turistica ad Erice.
Per poter realizzare un simile progetto, è necessario prima di tutto puntare su un miglioramento della manutenzione ordinaria del giardino, spesso apparsa carente. Cartacce e bottiglie rotte non devono più costituire “arredo” delle aiuole del Balio. Inoltre potrebbero essere intrapresi interventi di abbellimento di grande portata come un rivestimento in pietra dell’antiestetico cemento che oggi ricopre i viottoli, e altri meno impegnativi ma altrettanto utili, come il reimpianto delle siepi di bosso nei punti in cui risultano danneggiate.
Se saremo capaci di proporre un recupero delle nostre antiche tradizioni in armonia col presente, diffonderemo ancora di più l’immagine di Erice nel mondo. Allora affacciandoci dal Balio avremo forse anche noi, come un tempo i nostri antenati, la sensazione di poter abbracciare con un solo sguardo, l’intera umanità.