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  Aragona - Maccalube
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Aragona - Maccalube

Le Maccalube sono delle suggestive sorgenti idroargillose che si trovano a circa quattro chilometri dal centro urbano di Aragona, formatesi, nel corso degli anni, per la continua fuoriuscita d'argilla dal sottosuolo.
Il fenomeno si manifesta solo se i gas (metano, ma anche in minore quantità, anidride carbonica, azoto, ossigeno, argon, ossido di carbonio,elio) sono sottoposti ad una certa pressione e sono in relazione con argille non consolidate, intercalate in livelli di acqua salata. La loro fuoriuscita, però, non sempre viene accompagnata da argilla; talvolta ai gas si associano soltanto delle sostanze liquide che determinano degli specchi di acqua torbida dalle dimensioni variabili, dove avviene un moltiplicarsi di tanti piccoli organismi che trovano il loro ambiente ideale.

Il paesaggio, che si presenta come una landa brulla dal colore che varia dal biancastro (dovuto alla polvere di cristalli che esce dal sottosuolo) al grigio chiaro a quello molto scuro, è caratterizzato da una serie di vulcanelli di fango freddi così definiti per la tipica forma a cono che la continua fuoriuscita d'argilla dal sottosuolo determina.

Per analogia con quello vulcanico, questo fenomeno viene definito vulcanesimo sedimentario e rientra nelle manifestazioni petrolifere superficiali di tipo gassoso.
Il vulcanesimo sedimentario si manifesta in presenza di gas che sottoposti ad una certa pressione possono anche determinare esplosioni dovute al miscuglio di metano e ossigeno, detto Grisù.
Il fenomeno è riconducibile alla presenza nel sottosuolo di un vasto bacino argilloso localizzabile a circa dodici km di profondità. Si suppone una presenza elevata di acqua derivante da sorgenti sotterranee.

Le acque partecipano al processo chimico ed ai fenomeni eruttivi, rendendo plastica l'argilla che così forma un'ostruzione che blocca l'uscita dei gas. Le eruzioni vengono anticipate da un inarcamento della collina e, nel periodo precedente la loro manifestazione, si possono notare nell'altipiano delle crepe ad andamento ortogonale. Ma questi non sono gli unici segnali. Il capovolgimento del terreno viene annunciato ed accompagnato da forti boati e, in questi casi, il materiale argilloso misto a gas e acqua viene scagliato a decine di metri di altezza, fino ad assumere la tipica forma a fungo delle esplosioni nucleari.

La Flora


La collinetta non incanta soltanto per il suo paesaggio lunare. Essa è un vero e proprio Paradiso Botanico che vanta, in primavera, la presenza di ben quindici specie di orchidee. Ma la vera ricchezza floristica viene dagli stagni temporanei mediterranei che hanno determinato un numero considerevole di endemismi come l'Aster Sorrentini, (varietà tutelata dalla Comunità Europea) e la Lavatera Agrigentina; di particolare importanza è la gariga-steppa formata dal Lygeum Spartum e dalla Salsola Agrigentina, endemismo il cui locus classicus è proprio il territorio delle Maccalube. Tutta questa varietà ha permesso di inserire le Maccalube come sito di interesse Comunitario e di istituire nel 1996 la Riserva Naturale Integrale delle Maccalube, affidata alla gestione di Legambiente. L'area di Riserva (con una superficie di oltre 240 ettari) è unica in tutta Italia proprio per la varietà e l'estensione di questo fenomeno naturale.

La Fauna


Gli stagni temporanei favoriscono lo sviluppo di una ricca entomologia, la riproduzione di anfibi e la presenza di rettili. Sull'area della collinetta si possono anche osservare alcune specie rapaci come il Falco di palude; il territorio è zona di sosta per gli uccelli durante il periodo di migrazione.

Toponimi


Il toponimo Maccalube o Macalube varia nella duplice versione della occlusiva velare sorda scempia /maka'lube/ e geminata /makka'lube/ .
Il Nuovo Zingarelli, vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli, presenta il termine nella versione di Maccaluba (s.f.) adducendo il seguente significato: "sorgente fangosa con emissioni di metano e anidride carbonica".
La sua origine etimologica risale all'arabo Maqlùb che significa propriamente "ribaltamento". Il termine, dunque, oltre ad indicare questa precisa area geografica dell'aragonese, è sostantivo che serve per indicare tutte quelle manifestazioni eruttive esistenti sul pianeta. Le testimonianze storiche risalgono a più di duemila e cinquecento anni fa; fra le tante citiamo Platone, Aristotele, Diodoro Siculo, Plinio il Vecchio. L'appellativo latino del luogo è Ager agrigentinus (campo agrigentino) e Lacus agrigentinus (lago agrigentino), denominazione data perché in tempi remoti, attorno all'attuale collina, doveva esserci un enorme specchio d'acqua torbida che si riversava nel vallone.
A partire dall'età rinascimentale "lacus" e "ager" vengono indicati con il toponimo Machaluba.
Più recentemente la località viene detta Occhiu di Maccalubbi per la caratteristica forma circolare e per il suo colore biancastro; in uso è anche la forma vulcanelli per la similarità dei coni con i grandi vulcani.

Curiosità


Testimonianze dell'esistenza delle Maccalube risalgono oltre il V sec. a. C.
- In epoca preistorica venivano considerate la divinità. Numerosi reperti archeologici, infatti, attestano l'esistenza dei doni che venivano offerti al dio.

-I Greci e i Romani usavano il fango per fare maschere di
bellezza per le ricche signore.

- Nel 1087, quando gli Arabi scacciarono via i Normanni, si dice che sulla piana delle Maccalube ci fosse stato uno scontro molto cruento e sanguinoso tale che, nella tradizione contadina, il liquido grigiastro che viene espulso dai vulcanelli viene definito "Sangu di li Saracini" (il sangue dei saraceni).

- Orbu di l'occhi. Secondo una leggenda popolare chi giurava il falso veniva condotto sulla terra delle Maccalube ed ivi accecato.

- Anticamente il liquido veniva utilizzato per l'accensione delle citalene .

Il Mito


Ai vulcanelli è legata una interessante leggenda che da tempo dà alimento alla fantasia di quanti sono rimasti incantati dal paesaggio lunare delle Maccalube. Si narra che un tempo, dove adesso la terra è un continuo gorgoglio, un incessante richiamo alla contemplazione della sua grandezza, vi era una ricca città che portava il nome di Cartagine. Era un centro opulento in cui aveva luogo un vasto mercato, dove , al centro della città, si trovava una chiesa con un gallo d'oro sopra il campanile. La gente del luogo viveva nella tranquillità finché un giorno, durante una festa religiosa, scoppiò una lite tra due opposte fazioni così violenta da fare adirare una divinità che fece sprofondare l'intera città sotto terra.
Si pensa che ogni sette anni, a mezzanotte in punto, ricompaia il gallo d'oro del campanile e talvolta, a seconda dell'entità dell'eruzione, riaffiori Cartagine intera con tutto il suo mercato. Si dice che se qualcuno si trova nei pressi della collinetta e vede l'accaduto può avventurarsi tra la folla del mercato e veder tramutato in oro tutto ciò che compra, ma ad una condizione: non deve farsi prendere dalla paura e, nell'attraversare la piazza, non deve mai voltarsi indietro altrimenti viene risucchiato dalle viscere della terra.

Note La città sommersa di cui si parla nella leggenda è forse quella stessa a cui alludeva Vitruvio, vissuto nell'età di Augusto, quando parlava di una "fons Carthaginis". La credenza è sicuramente nata dalla presenza nella zona di un insediamento urbano scomparso in seguito ad una eruzione delle Maccalube.
 
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