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  San Cataldo - Chiesa Madre
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San Cataldo - Chiesa Madre

La “matrice” è stata per tutte le generazioni della nostra città non solo il sacro solenne tempio per il rendimento di grazie, ma anche la “casa del popolo”: ognuno di noi vi è entrato come a casa propria, senza chiedere altro permesso che quello della coscienza». In questo vissuto autobiografico tracciato dall’on. Giuseppe Alessi, in occasione del 250° della dedicazione della chiesa madre di San Cataldo, possiamo cogliere la grande carica simbolica che essa rivestiva e che ancora oggi permane nell’immaginario collettivo sancataldese. Lo spazio sacro ci restituisce i tratti più profondi della storia dei nostri padri, e ci rinvia ad un passato recente altrettanto significativo per la storia della chiesa e del paese. La presenza dei monumenti funebri della serva di Dio Mariannina Amico Roxas e dell’amato mons. Cataldo Naro, testimoni del Cristo risorto, rendono ancor più viva e cara l’appartenenza alla chiesa madre. Elemento costante, una sorta di filo rosso, che affiora sin dalle origini della chiesa, è il caparbio attaccamento ad essa della popolazione. A cominciare dal Seicento, la struttura subì un improvviso crollo della parte delle cappelle del Crocifisso e di san Cataldo, costringendo la comunità a ricostruirla, ad ampliarla e a renderla più maestosa. Certamente va dato merito alla famiglia Galletti, fondatrice del paese e attenta promotrice delle opere pubbliche locali, di aver fatto erigere una chiesa che architettonicamente risulta tra le più interessanti della diocesi di Caltanissetta. Spettò, infatti, a Vincenzo Galletti, figlio del fondatore del paese, dotare il nascente tessuto urbano di una chiesa maggiore, intitolata alla Natività di Maria, nella parte alta di esso, posizionata su un’emergenza rocciosa nei pressi del castello. E’ un periodo di forte movimento demografico, in cui la chiesetta degli agostiniani, situata nella parte bassa dell’attuale via San Nicola, non era più sufficiente a soddisfare i bisogni spirituali di una popolazione in continua crescita. Il barone Vincenzo chiese dunque nel 1632 l’autorizzazione al vescovo di Agrigento, entro cui ricadeva il suo territorio a livello ecclesiastico, di costruire una chiesa e di fondare un’arcipretura, disponendo a tal riguardo una rendita di 40 onze annuali per essere aperta al culto. La chiesa, a pianta basilicale con cupola centrale, fu concepita secondo i canoni barocchi e le istanze tridentine legate all’evangelizzazione delle masse contadine. Solo nel secolo successivo si potè consacrarla ufficialmente. Il 9 maggio del 1739 il vescovo di Catania, Pietro Galletti, fratello del principe Giuseppe, fu chiamato per celebrare la solenne funzione della dedicazione del tempio all’Immacolata. E’ possibile rilevare l’organizzazione spaziale dell’edificio di quel periodo attraverso la visita pastorale del 1745, intrapresa dal vescovo di Agrigento, Lorenzo Gioeni. Dai documenti apprendiamo che erano presenti sette altari laterali per navata, le cappelle del Sacramento e del santo patrono, san Cataldo. L’autore del progetto della chiesa rimane sconosciuto, benché sia riconducibile alla cerchia di collaboratori e capomastri del famoso architetto Vaccarini che nello stesso periodo era attivo a Catania per volere del vescovo Galletti. Tra i maestri catanesi figura la famiglia Caruso e uno di questi componenti, Giuseppe, compare nel 1768 quale capomastro dell’università di San Cataldo, incaricato di eseguire una serie di lavori riguardanti la facciata della chiesa, il pavimento e la collocazione del monumento funerario in memoria di Giuseppe Galletti situato nel transetto di sinistra. Il diritto di patronato che vantavano i Galletti sulla chiesa li portò a riversare ingenti somme di denaro destinate ad abbellirla e nel corso del tempo pure gli arcipreti intervennero per renderla sempre più decorosa, come Calogero Carletta che, nella prima metà del Novecento, incaricò il pittore sancataldese Salvatore Naro di decorare la volta centrale a botte. La chiesa, nonostante le sollecite attenzioni ricevute dalle autorità ecclesiastiche, non ha mai goduto di buona salute, a causa dei micromovimenti della struttura che ne compromettevano la stessa esistenza. Il 1965 si ricorda per l’improvvisa chiusura al culto della chiesa al seguito di un’ordinanza del sindaco del tempo, Ferdinando Maiorana. Era il 24 aprile. San Cataldo si ribellò a tale decisione, aggravata ancor più dalle voci insistenti della necessità di abbattere la chiesa per ricostruirla in un luogo più sicuro. Le proteste non furono vane e i sancataldesi strapparono alle autorità la promessa di tornare sulle loro decisioni. Difatti, fu ufficialmente comunicato che la chiesa, pur rimanendo chiusa per ragioni di sicurezza, non sarebbe stata più demolita. La costituzione di un comitato cittadino, capeggiato dall’on. Giuseppe Alessi, riuscì attraverso un coinvolgimento della popolazione e delle istituzioni locali a raccogliere i fondi da utilizzare per alcuni lavori urgenti di risanamento. Era il giorno dell’Immacolata del 1979 e il suono a festa delle campane annunciò la riapertura della chiesa. Numerose statue e pitture affollano lo spazio sacro. Ricordiamo solo alcune opere particolarmente interessanti. Il dipinto del 1781, la Natività di Maria, eseguito dal sancataldese Carmelo Riggi per l’altare maggiore. Meritano di essere citate il quadro dell’Adorazione dei pastori di anonimo settecentesco; le sculture del Crocifisso in avorio, di san Michele Arcangelo, dell’Immacolata e di san Cataldo, tutte di autore ignoto e di epoche diverse. Indubbiamente ripercorrere le vicende della chiesa madre significa non solo ricostruire la storia di una parrocchiale (unica in paese sino al 1924), ma anche quella di un’intera comunità postasi all’ombra dell’elegante struttura, unita nel sentimento che ci accomuna nel sentirla nostra.
 
A*