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Aliminusa

Le prime notizie certe su Aliminusa risalgono al secolo XV in una carta geografica custodita nell'archivio storico degli Uffizi fiorentini con il nome TERRÆ HARMINUSÆ.
Il toponimo Aliminusa deriva con molta probabilità dal termine arabo ARMISCH che significa valle desolata, mancante d'acqua, o sempre dall'arabo ALUMANAC che significa illesa, in quanto dal mare l'abitato è visibile, ma a terra questi scompare, dovuto alla particolare morfologia del territorio.
L'area geografica in cui è sita Aliminusa è stata fino al 1600 una delle zone meno popolate della Sicilia. Fino a quella data esistevano infatti soltanto alcune masserie ed abbeveratoi oltre ad alcuni mulini lungo le valli dei fiumi Imera e Torto, collegati tra loro con una rete di trazzere.
Sempre nel secolo XV un aumento demografico accentuò l'esigenza di fondare nuovi centri abitativi in tutta la Sicilia. Tale obiettivo venne raggiunto con la fondazione di nuovi borghi sottoposti all'autorità dei feudatari, i Baroni, ai quali come contraccambio per l'iniziativa per la nuova urbanizzazione considerato un investimento economico rischioso, veniva garantito un aumento di potere all'interno del Parlamento Siciliano, ed un'autorità assoluta all'interno dei centri stessi.
Aliminusa, ex feudo Giummeti, facente parte della contea di Sclafani Bagni fino al 1532, rientrò in questa stessa politica di espansione. Di fatto, in quell'anno, Giovanni Vincenzo Luna Rosso e Spadafora, conte di Sclafani Bagni, lo vendette a Giovanni Bartolo La Farina. Nel 1550 il feudo venne riacquistato dalla famiglia Peralta dei Conti Luna, i quali si stabilirono nella villa baronale, che in seguito ad una sanguinosa contesa, con i nobili Tirallo di Sciacca, venne distrutta. Esistevano allora alcune case alla sinistra dell'attuale strada provinciale che collega Cerda - Montemaggiore Belsito che fungevano da centri di raccolta dei prodotti agricoli, data la difficoltà di trasportare questi prodotti a Sclafani Bagni per la considerevole distanza fra le varie parti del suo territorio. I collegamenti erano allora assicurati dalla strada Regia a valle dell'attuale paese, rimasta tutt'oggi allo stato di trazzera che collega Montemaggiore Belsito con la contrada Trabbiata.
Dopo la distruzione delle case esistenti e della villa, i proprietari costruirono un caseggiato chiuso (Baglio) in una zona sopraelevata rispetto alla strada per meglio difendersi da eventuali incursioni. All'interno del Baglio, vi erano due ali, una che serviva per l'abitazione del proprietario e dei guardiani, l'altra che serviva per il ricovero di animali (Erranteria) e per magazzino; queste due ali erano separate da un torrione centrale che evidentemente serviva per scopi difensivi.
Da ricerche storiche, si evince che ai conti Luna successero molti altri nobili tra i quali Antonio D'Aragona e Moncada fino al 1625, anno in cui venne acquistato da Gregorio Bruno. Avendo detto Barone avuto previsione da parte della Regia Curia il 18 Luglio 1634, avendo pagato alla tesoreria Regia Generale di Sicilia duecento once in data 30 Giungo 1634, viene accolta la richiesta di edificare, abitare e popolare detta baronia (Licenza Populandi), che autorizzava anche ad imporre diritti di gabella e dogane. Gli veniva inoltre conferito il potere di nominare un castellano, un capitano, un giudice, giurati ed altri ufficiali civici necessari al governo della nuova comunità.
Questi fondò il borgo di Sant'Anna in posizione baricentrica rispetto all'intero feudo in modo da poter controllare dal punto di vista agricolo tutto il territorio. Già nel 1635 codetto borgo contava già 343 anime.
A Gregorio successe il figlio Giuseppe che vendette il feudo, in data 23/04/1652, e l'abitazione al celebre giure consulto catanese Mario Cutelli Conte di Villa Rosata, come per atto in notar Pietro Cardona di Palermo. Il Cutelli fu generoso nel dotare la chiesa e nello stabilire un legato di maritaggio in favore degli abitanti, come si scorge dal suo testamento del 28/08/1954, anzi disponeva che ove ed in qualunque tempo fosse mancata la linea maschile il territorio di Aliminusa dovesse andare in beneficio ad un istituto di educazione da fondarsi in Catania. Al Cutelli Mario successe Giuseppe, che fu anche Signore di Valledolmo, e poi Antonio e Giuseppe Giovanni dal 1656 fino al 1747, quando, morto quest'ultimo senza eredi, il feudo passava nel dominio dell'erigendo istituto che prendeva il nome di Cutelli, che tutt'ora esiste ed è sotto il dominio diretti dello Stato.
Nel 1750 Aliminusa era concessa dal Vescovo Mons. Galletti quale fido commissario della volontà del Cutelli, in enfiteusi ad Ignazio Vincenzo Paternò, Principe di Biscari, il quale lo cedeva poi, correva l'anno 1766, a Gerolamo Recupero Bonaccorsi, e indi nel 1796, passava ai baroni Miloni di Palermo, finché abolito con il Real Rescritto del 1812 il feudalesimo in Sicilia, Aliminusa si erigeva a Comune per come si regge fino ad oggi.
Dopo aver esposto il succedersi dei proprietari del feudo, il baglio inizialmente era costruito da un corpo di fabbrica semplice, successivamente vennero costruite delle altre case tutt'attorno per ospitare i contadini per il breve periodo che si soffermavano nel piccolo centro.
Quando Gregorio Bruno ottenne la LICENTIA POPULANDI nel 1635, non si ebbe subito lo sviluppo del paese (infatti sono assenti nell'archivio di Stato di Palermo riveli di case fino al 1811) poiché al Bruno non interessava fondare un nuovo centro, ma gli premeva soprattutto essere proclamato Senatore secondo la prescrizione della vecchia legge. Infatti il territorio si distacca dal comune di Sclafani Bagni dopo più di un secolo e cioè nel 1765 solo alcuni decenni dopo aver ottenuto la licenza di fondare il paese, vengono costruite le prime case e si suppone che queste case vennero a formare sei strade che si sviluppavano attorno al Baglio. Le strade sopra menzionate hanno tre caratteristiche principali che influirono sull'attuale assetto del paese, ossia la loro larghezza di nove metri, dirette e disposte lungo le linee di massima pendenza. Detta organizzazione urbanistica era dettata da una legge spagnola che imponeva le regole suddette a tutti i territori conquistati non tenendo conto quindi delle caratteristiche del territorio e delle esigenze degli abitanti.
Le case costruire erano di proprietà del barone che li dava in affitto ai contadini che venivano ad abitare in Aliminusa. Dalla seconda metà del XVII secolo fino agli inizi del XVIII secolo non si ebbero abitanti stabili, anzi i contadini dell'epoca possono considerarsi dei nomadi particolari. Infatti per un curioso meccanismo di credito da parte dei baroni, essi si trovavano sempre in debito cosicché erano costretti ad abbandonare un feudo e trasferirsi in un altro. Costoro giungevano in un feudo senza possedere ne soldi ne case, ma venivano aiutati in un certo senso dal barone, il quale prestava loro del grano fino al momento del raccolto; ma poneva gli interessi talmente alti da non consentire ai contadini di restituire il prestito. Agli inizi del XVIII secolo questo fenomeno scompare, la popolazione divenne stabile, il paese si espande e le nuove strade hanno caratteristiche simili alle precedenti. In questo periodo il Barone cedette un lotto gratuitamente sul quale poi i contadini edificarono le proprie case, che rimasero per lo più invariate fino alla prima metà del XX secolo. Il modulo tipo di queste costruzione si ergeva su un lotto prospiciente la strada della lunghezza di dieci metri; si sviluppava solo al piano terra e perciò veniva chiamata terragna. L'interno (che aveva la triplice funzione di abitazione, ricovero di animali e conservazione delle provviste) veniva divisa in due ambienti: nel primo che occupava metà dell'intera superficie dalla parte posteriore delle strada, venivano ricavate due alcove: la prima separata da tende, fungeva da stanza matrimoniale e da letto per i figli (se vi erano figli di entrambi i sessi i maschi venivano sistemati in lettini approntati nel solaio), la seconda veniva utilizzata come stalla e da ripostiglio. Anteriormente si collocavano il forno, la cucina a legna, e nelle pareti si ricavavano dei vuoti (finestredde) che servivano da armadi. In corrispondenza dei letti, del ripostiglio e della stalla che coprivano circa i due terzi posteriori, si ricavava superiormente un solaio per il deposito delle provvigioni e degli arnesi da lavoro.

Il Baglio Baronale



Ad Aliminusa, così come spesso accade anche in altri paesi rurali, gli isolati si sviluppano secondo uno schema modulare basato sulla minima dimensione dell'abitazione contadina.
Unica eccezione nella semplicità del disegno urbano, di Aliminusa è il Baglio Baronale.
È una costruzione seicentesca al centro del paese.
Fu la residenza dei Conti Luna durante la dominazione spagnola e in seguito di altre famiglie fino al 1812 anno in cui ci fu l'abolizione dei diritti feudali.
Da residenza dei signori di Alia divenne ben presto un importante centro aziendale e struttura di controllo del territorio.
 
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