L'antico nome in fenicio era Mtw, Mtw o Hmtw, come risulta dalle leggende monetali. Il nome riportato in greco è citato anche da Tucidide[1] e da Diodoro Siculo[2]. La versione più accreditata sull'etimologia del nome è quella di una derivazione da una radice connessa con la parola "filanda" o, comunque, con la tessitura delle stoffe e l'industria dei tessuti, attività nella quale i Fenici erano molto esperti e di cui proprio a Mozia si è trovata testimonianza nella cosiddetta area industriale, a sud della necropoli. Il nome con cui l'isola viene attualmente indicata (Isola di San Pantaleo) le fu dato probabilmente nell'XI secolo da una comunità di monaci basiliani che vi si erano stabiliti.
Geografia
L'isola, estesa per 45 ettari, ha una forma quasi circolare e si trova al centro del tratto di mare conosciuto come Stagnone di Marsala (oggi riserva naturale regionale), racchiuso tra la costa siciliana a nord di Marsala e l'Isola Lunga. Vi si trovano altre due isole, ossia la Santa Maria e la Scuola; quest'ultima, nominata da Cicerone nelle Verrine, presenta modeste tracce di epoca romana. Sull'isola il livello del mare si è innalzato di circa mezzo metro rispetto all'epoca fenicia. Il sottosuolo è costituito da una roccia calcarea morbida, friabile, di colore giallo, sormontata da un piccolo strato di roccia calcarea abbastanza dura.
L'accesso all'isola è consentito solo dall'imbarcadero, che oltre a collegare Mozia alla terraferma, permette di visitare anche le altre isole dello Stagnone. Su tutta l'isola esiste un divieto di sbarco.
Anticamente era presente una strada sommersa, oggi non più praticabile a causa delle alghe. Ne esiste comunque una che va da Capo S. Teodoro all'estrema punta nord dell'isola lunga, non molto lontano da dove è stata trovata la nave punica di Marsala.
Storia
Mozia fu probabilmente interessata dalle esplorazioni dei mercanti-navigatori fenici, che si spinsero nel Mar Mediterraneo occidentale, a partire dalla fine del XII secolo a.C.: dovette rappresentare un punto d'approdo ed una base commerciale morfologicamente molto simile alla città fenicia di Tiro. Intorno alla metà dell'VIII secolo a.C., con l'inizio della colonizzazione greca in Sicilia, Tucidide riporta che i Fenici si ritirarono nella parte occidentale dell'isola (Mozia, Solunto e Palermo). Archeologicamente è testimoniato un insediamento della fine dell'VIII secolo a.C., preceduto da una fase protostorica sporadica ed alquanto modesta. Le fortificazioni che circondano l'isola possono essere forse collegate alle spedizioni greche in Sicilia occidentale di Pentatlo e di Diorieo (inizio e fine del VI secolo a.C.).
Nel 397 a.C. Dionisio I di Siracusa prese e distrusse la città all'inizio della sua campagna di conquista delle città elime e puniche della Sicilia occidentale. Nella narrazione dell'episodio Diodoro Siculo descrive in questo modo la città: "era situata su un'isola che dista sei stadi dalla Sicilia ed era abbellita artisticamente in sommo grado con numerose belle case, grazie alla prosperità degli abitanti". L'anno successivo Mozia venne ripresa dai Cartaginesi, ma perse di importanza in conseguenza della fondazione di Lilibeo. Dopo la battaglia delle Isole Egadi nel 241 a.C. tutta la Sicilia passò sotto il dominio romano, ad eccezione di Siracusa. Mozia doveva essere quasi del tutto abbandonata, dal momento che vi si sono rinvenute solo pochissime tracce di rifrequentazione, generalmente singole ville di epoca ellenistica o romana.
Nell'XI secolo l'isola fu donata dai Normanni all'abbazia di Santa Maria della Grotta di Marsala e tenuta dai monaci basiliani di Palermo, che diedero poi essi stessi l'attuale nome all'isola di San Pantaleo. Nella seconda metà del XVI secolo, insieme ai monasteri di
Palermo e
Marsala, passò ai Gesuiti, e alla fine del Settecento, con l'espulsione dell'ordine dalla Sicilia, passò in mano di piccoli proprietari che la coltivarono soprattutto a vigneto, come ancora oggi.
Agli inizi del Novecento l'intera isola fu acquistata da Joseph Whitaker, archeologo ed erede di una famiglia inglese che si era trasferita in Sicilia arricchendosi con la produzione del marsala. Dal 1971 l'isola è di proprietà della Fondazione "Giuseppe Whitaker", costituita e voluta dalla figlia Delia, deceduta nello stesso anno.
Studi e Ricerche
La prima identificazione dell'isola con l'antica Mozia risale al viaggiatore e studioso olandese Filippo Cluverio, nel XVII secolo. Notizie dei resti archeologici sull'isola si hanno nei testi di diversi eruditi del Settecento e, sembra, a seguito di ricerche condotte per ordine del monsignor Airoldi, allora custode delle Antichità del Val di Mazara, con la direzione del barone Rosario Alagna di Mozia, a cui era stata data l'isola in feudo. Nel 1793 si rinvenne il gruppo scultoreo riproducente due leoni che azzannano un toro.
Ricerche archeologiche scarsamente documentate furono condotte nel 1865, 1869 e 1872 e vi scavò senza risultati anche Heinrich Schliemann nell'ottobre del 1875. Nel 1883 Innocenzo Coglitore identificò definitivamente il sito con l'antica Mozia. I primi veri e propri scavi archeologici iniziarono nel 1906 con Joseph Whitaker e proseguirono fino al 1929: si misero in luce il santuario fenicio-punico di Cappiddazzu, parte della necropoli arcaica, la cosiddetta Casa dei mosaici e quella delle anfore, l'area del tofet, le zone di Porta Nord e di Porta Sud e della Casermetta. Whitaker si occupò inoltre della sistemazione degli scavi, acquistando l'isola e sistemandovi il museo. Nel 1930 lo scavo del santuario di Cappiddazzu fu portato a termine da Pirro Marconi.
Dal 1955 gli scavi furono proseguiti da una missione archeologica inglese dell'Università di Leeds diretta da Benedikt Isserlin e a cui partecipò anche Pierre Cintas che aveva scavato a Cartagine. Le indagini interessarono le zone di Porta Sud e di Porta Nord e il Kothon, e fu rimessa in luce una capanna preistorica nell'area del santuario di Cappiddazzu. Nel 1964 altre indagini furono condotte in collaborazione tra l'Università "La Sapienza" con Sabatino Moscati, e la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale diretta da Vincenzo Tusa, a Cappiddazzu, nell'area del tofet, nell'area industriale a sud della necropoli arcaica e nel centro abitato.
Dal 1974 collaborano con la Soprintendenza locale il Centro di Studi per la Civiltà Fenicia e Punica del CNR (Antonia Ciasca, scavo della cinta muraria); dal 1977 l'Università di
Palermo (Gioacchino Falsone e Antonella Spanò Giammellaro, campagne tuttora in corso nel centro abitato tra il santuario di Cappiddazzu e l'area della
Porta Nord); dal 1985 il CNR (Enrico Acquaro, Casa dei mosaici), Nel 1987, la Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di
Trapani sotto la direzione di Maria Luisa Famà, ha ripreso gli scavi all'abitato, nella Casa delle anfore e nella zona B.