Storia
La Fornace Penna fu realizzata tra il 1909 ed il 1912 su progetto dell'ingegnere
Ignazio Emmolo, che si laureò in
matematica a Catania e in
ingegneria civile a
Napoli nel 1895. Creando la società con l'appoggio del barone
Guglielmo Penna, scelse il sito di "Punta Pisciotto" a ridosso del mare, per i seguenti motivi:
*il fondale sufficientemente profondo da consentire l'attracco delle navi
[Secondo le testimonianze del geografi arabi in questo luogo sorgeva, fino al secolo XIII dell'era volgare, il porto di Marsa Siklah.],
*la presenza della ferrovia,
*la vicina cava di argilla, a circa 200 metri, per la materia prima,
*la disponibilità di abbondante acqua da una sorgente carsica locale.
Lo stabilimento produceva laterizi che venivano esportati in molti paesi mediterranei: gran parte di Tripoli (Libia) dopo la guerra del 1911 fu costruita con laterizi del
"Pisciotto" . Si lavorava dalla sei del mattino sino all'imbrunire, da maggio a settembre; con le prime piogge la Fornace Penna veniva chiusa. Vi hanno trovato occupazione un centinaio di operai in età compresa tra i 16 e i 18 anni. La cessazione dell'attività dello stabilimento avvenne durante la notte del 26 gennaio 1924, a causa di un incendio doloso che lo distrusse in poche ore. Una lettera abbandonata attribuisce il gesto ai
socialisti, mentre un'altra ipotesi adombra il sospetto di una vendetta interna alle file
fasciste.
A testimonianza di quel passato produttivo sono rimasti solo dei ruderi: " 'o Pisciuotto ", così è chiamato l'antico stabilimento dagli abitanti del luogo; e nel passare inesorabile del tempo, disgregandosi silenziosamente e con discrezione, La Fornace Penna attende un suo destino. Da sempre questo edificio è stato al centro di grandi polemiche e dibattiti: tra le proposte di modificarlo in albergo o quelle di farlo divenire un luogo culturale o, semplicemente, di mettere in atto un restauro di mantenimento. Negli ultimi anni, grazie anche al fascino delle sue rovine, la Fornace Penna è stata utilizzata come
set cinematografico: "La Mánnara", come viene nominata la località dove sorge la fabbrica, in un episodio dello sceneggiato televisivo
Il Commissario Montalbano.
In occasione di una sua visita, Vittorio Sgarbi l'ebbe persino a definire "una basilica laica in riva al mare".
["La Sicilia", 12 luglio 2004, p.14]
Descrizione
La Fornace era di tipo
Hoffmann e si componeva di sedici camere disposte ad anello lunghe cinque metri e larghe tre e mezzo ciascuna. Il tiraggio forzato veniva esercitato da una ciminiera alta 41 metri e lo stabilimento era lungo 86 metri.
Nella parte est (lunga 32 e larga 25 metri) era destinata al macchinario. La sala macchine ospitava due polverizzatori a martello; un'impastatrice ad eliche grandi, rifornita da elevatori a tazze, due laminatori con filiere per la produzione di gallette, laterizi forzati e tegole curve o coppi, una pressa a revolver per la produzione di tegole alla marsigliese, una pressa per la produzione di tegole di colmo.
Esisteva pure un piccolo vano per la fabbricazione di stampi, tegole marsigliesi e rulli di scorrimento per i carrelli delle filiere.
Storia di un'impresa
Il progetto e la realizzazione dello stabilimento di laterizi di contrada Pisciotto a Sampieri ebbero una gestazione di tre anni: dopo aver lavorato a una prima bozza di progetto (Ignazio Emmolo a casa aveva molte riviste dove erano illustrati stabilimenti di laterizi) e aver visitato diverse fabbriche, quelle di Spadafora, nel messinese, altre, nel piacentino, e altre ancora in Germania per verificare il funzionamento di alcune fornaci Hoffmann, l’ingegnere sciclitano, che aveva creato una società in parola con il barone Penna, scelse il sito di punta Pisciotto per tre ordini di motivi: il fondale sufficientemente profondo da consentire l'attracco di navi, la presenza della ferrovia e, soprattutto, la vicina cava di argilla, che avrebbe fornito la materia prima.
Emmolo interruppe la costruzione della casa di via Roma (dove è scalpellata la data del 1909) per dedicarsi allo stabilimento.
I macchinari, alcuni acquistati a Monza, altri in Germania, furono installati da manodopera sciclitana, ma al momento di mettere in funzione la fornace, nessuno degli stazzonài locali riuscì ad avviarla. Emmolo fu costretto a chiamare un fornaciaro di Monza, Illide Pernigotto.
Questi sarebbe ritornato a Sampieri nel 1923, quando Emmolo, per rimettere in funzione la fornace, gli chiese di venire in Sicilia ad aiutarlo. Pernigotto rispose positivamente, ponendo però una condizione: "Vengo a Sampieri a riaccendere la fornace -scrisse a Emmolo- se mi ospiterete nella stessa stanza in cui mi avete ospitato nel 1912". Fu accontentato. Alla famiglia del Barone Penna toccò il 90% del capitale sociale,a Ignazio Emmolo il dieci.
Fu un patto in parola, dato che gli altri soci (il barone Guglielmo Penna, il baronello Francesco Penna, il cavalier Tommaso Penna e il cavalier Bartolomeo Penna) si rifiutarono di firmare. Ignazio Emmolo partecipò con una quota di capitale e una di prestazioni. Le prime commesse risalgono al periodo immediatamente e successivo alla guerra di Libia del 1911, cioè all'anno l'successivo, quando gran parte di Tripoli fu ricostruita con i laterizi del Pisciotto.
Ignazio Emmolo ricoprì l'incarico di direttore della fabbrica per tre anni, dal 1912, data della fondazione, fino al '15, incarico per il quale non fu mai retribuito. I mercati di destinazione dei laterizi erano quelli siciliani e quelli di Malta e di Tripoli. Nel maggio del 1915, con lo scoppio della guerra, vennero meno la committenza e la manodopera.
Non fu più possibile caricare i velieri per via della guerra sottomarina che i tedeschi iniziarono nel canale di Sicilia. L’ingegnere Emmolo era l'unica persona in grado di far funzionare la fornace Hoffmann, una struttura t e c n o l o g i c a me n t e all'avanguardia ai tempi. L’ingegnere aveva fatto analizzare le argille della vicina cava dei Penna, argille che erano risultate inadatte. I primi esperimenti avevano dato esito negativo, le diverse mescole di argilla e sabbia erano troppo cotte, si infrangevano subito.
Il 15 agosto del 1912 gli operai presero mezza giornata di ferie; andarono a Sampieri a festeggiare il Ferragosto, lasciando accesi, a fuoco lentissimo, i forni. Accadde l'insperato: i laterizi, lasciati casualmente dentro i camerini, appena sfornati risultarono perfetti. Emmolo segnò il camerino in cui era arrivato il fuoco lento, e intuì subito che quell'argilla aveva bisogno di poco calore per cuocere bene. Sostituì il carbon fossile con la sansa e trovò il giusto equilibrio di cottura del materiale.
Sui suoi quaderni di lavoro aveva scritto i tempi di combustione. In inverno la cava d'argilla si riempiva d'acqua e la produzione giocoforza veniva sospesa.
Alla ripresa dell'attività di produzione nel 1919 Emmolo non ne volle più sapere di lavorare senza compenso per lo stabilimento e i Penna diedero la gestione della fabbrica a dei loro parenti di Caltagirone, Annino e il cavaliere Ciancio, marito della sorella maggiore della duchessa Penna, Girolama.
Il cavaliere Ciancio di li a breve si ammalò e morì, Annino non seppe mettere in funzione la fornace e costruì due pignoni, due forni posticci, a est della fabbrica.
Intanto, nel ‘19 era ritornato a lavorare al Pisciotto Carmelo Spadaro, il meccanico che si occupava del funzionamento del motore, il generatore di energia elettrica.
Nel 1923 la gestione passò al barone Saverio Polara di Modica, il quale chiese a Emmolo di tornare a dirigere la fabbrica. Questi si convinse, anche per via dei rapporti di amicizia che lo legavano al barone, ma diede una disponibilità parziale: di giorno avrebbe svolto la sua attività di ingegnere a Scicli, nel pomeriggio sarebbe andato in treno a Sampieri per dirigere i lavori dello stabilimento.
In quei mesi tornò a Sampieri Illide Pernigotto. Emmolo e i Penna intanto promisero al barone Polara che da lì alla primavera del '24 avrebbero provveduto a sostituire il motore, che a causa dell'usura non riusciva più a mettere in funzione tutti i macchinari, polverizzatori, presse, montacarichi e impastatrici.
Gli operai che lavoravano nella fabbrica erano ragazzi di 15, 16 anni, oltre a persone più esperte che venivano impiegate nei piani alti dello stabilimento, dove i forati venivano portati grazie a un montacarichi e trasportati su un nastro, da cui gli operai provvedevano a prenderli e a girarli con dei forchettoni, per favorirne l'essiccazione.
Il materiale crudo non veniva mai esposto al sole: i forati erano collocati nei piani alti, dove c'era un sistema di aerazione garantito dalle lamelle delle finestre; il materiale pieno era posto invece negli essiccatoi vicino alla ciminiera.
Si lavorava dalle sei del mattino sino all'imbrunire, con una pausa pranzo di un paio d'ore; a turno qualcuno restava a sorvegliare il motore e le macchine.
Nei taccuini di Emmolo c'é anche qualche annotazione delle paghe. La fabbrica restava in funzione da maggio a settembre, con le prime piogge veniva chiusa.
Per caricare i laterizi sui velieri l’ingegnere Emmolo aveva predisposto un sistema di rotaie; grazie ai vagoni della Decoville, i forati venivano trasportati sino a riva, dove erano caricati poi su dei barconi, tramite un pontile mobile di legno, che veniva smontato quando c'era mare grosso. Dai barconi i laterizi venivano poi trasportati sui velieri, che ormeggiavano lì vicino. L'altra modalità di trasporto era il caricamento delle tegole su dei carri, che portavano il materiale sino alla stazione di Sampieri. Lo stabilimento fu incendiato nel gennaio del 1924. Dell'origine dolosa del fatto non si è mai dubitato. Quando l'incendio divampò, lo stabilimento era chiuso da quattro mesi, l'ipotesi di un guasto o di un incidente sarebbe perciò infondata.
Accorsero i marinai di Sampieri, gli agricoltori dei fondi vicini, ma non ci fu nulla da fare. Quando la fabbrica bruciò, don Ciccio Carbonaro, il magazziniere, andò dal barone Penna, che dalla veranda del Trippatore aveva assistito all'incendio. "Lo stabilimento non c'è più" -disse don Ciccio-. "Hanno tolto il pane a tanti operai -rispose il barone-, a me non hanno tolto nulla".
Da quel momento Ignazio Emmolo non volle più sentir parlare della fabbrica.
Tra le mura del Pisciotto si sente ancora l’eco del suo anatema: "Non una sola ora, non una sola lira per il Pisciotto".