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Aci Castello - Il Castello

La fortificazione di incerta origine, fu il fulcro dello sviluppo del territorio delle Aci nel medioevo. Durante i Vespri siciliani, fu assoggettato alla signoria di Ruggero di Lauria, quindi in epoca aragonese fu di Giovanni di Sicilia ed infine degli Alagona venendo più volte assediato.
Attualmente è sede di un museo civico.

Storia


Origini


Secondo lo storico Diodoro Siculo nel 396 a.C. nel mare antistante il promontorio, dove oggi sorge il castello, avvenne una battaglia navale fra Cartaginesi e Siracusani. Probabilmente le stesse acque furono teatro dello scontro navale fra Ottaviano e Sesto Pompeo, nella guerra civile, nel 37 a.C. circa. In quell'occasione la potente flotta del ribelle Sesto Pompeo inflisse un dura sconfitta ad Ottaviano, che in quelle acque, si narra, rischiò di morirvi annegato. I molti reperti subacquei di età greca e romana rinvenuti nei fondali antistanti il castello, confermerebbero in parte queste battaglie.

Il promontorio basaltico dove il castello sorge, era separato dalla terra ferma da un braccio di mare, che fu completamente colmato dalla eruzione del 1169. Storicamente un primo castello fu edificato nel VII secolo d.C. (secondo altri nel VI secolo) dai bizantini su di una preesistente fortificazione di periodo romano forse del 38 d.C. e chiamato Castrum Jacis e volto alla difesa della popolazione dalle scorrerie musulmane.

È possibile risalire alla storia del territorio di Aci dal VII secolo al XIV secolo quasi interamente grazie agli avvenimenti accaduti nel castello.

il qalat musumano


Distrutta ed occupata la forte Taormina, nell'estate del 902 l'emiro Ibrahim stava per assaltare il castello di Aci. La popolazione sicura della sconfitta preferì capitolare, pagare la giziah e deporre le armi consegnandosi ai musulmani. Il paese fu lasciato intatto ma il castello e le fortificazioni saranno rase al suolo.

Nel 909 il califfo 'al-Mooz, fece riedificare sulla rupe una fortificazione (qalat), che doveva far parte di un più vasto sistema difensivo atto a proteggere l'abitato.

Nel X secolo sotto la dominazione araba il borgo fu chiamato 'Al-Yâg o Lî-Yâg, fu un importante centro della Sicilia orientale (secondo Al- Muqaddasi, storiografo che scrisse il Kitab 'ahsan 'at taqasim ). Forte e preminente rimase però l'impronta bizantina, tanto che lo scrittore Ibn al-Athir, nella sua opera Kamil 'at tawarih, racconta di una Aci quale centro della resistenza.

i regni normanno-svevo


Giunti i conquistatori normanni Roberto il Guiscardo e Ruggero d'Altavilla, verrà introdotto in tutta la regione il sistema feudale. Vasti territori saranno concessi a vescovi e milites. In questo contesto nel 1092 anche il castello di Aci ed il territorio circostante furono concessi all'abate e vescovo di Catania Angerio da S.Eufemia. Chiamato Castrum Jatium, si trattò del primo atto riguardante la Terra di Aci. Le pertinenze erano costituite dai territori degli attuali comuni di Aci Castello, Aci Sant'Antonio, Acireale, Aci Catena, Aci Bonaccorsi, Valverde ( già Aci Valverde). Il geografo arabo Edrisi descriverà nel suo Libro di Ruggero la terra di Aci come territorio importante.

Il 17 agosto 1126 il Vescovo abate Maurizio di Catania ricevette nel castello di Aci le reliquie di Sant'Agata, riportate in patria da Costantinopoli dai cavalieri Goselino e Gisliberto. All'interno di un ambiente che probabilmente era una piccola cappella, sono ancora visibili alcune tracce di un affresco che ricorda l'avvenimento.

L'eruzione del 1169 fu preceduta il 4 febbraio da uno dei terremoti più funesti che si ricordino. Le lave di quella eruzione investirono il territorio di Aci e, si narra, arrivarono sino al castello, colmando il braccio di mare che lo separava dalla costa. In quella occasione parte della popolazione si spostò nella cosiddetta contrada di Aquilio (derivante dal console romano Manlio Aquilio che si narra lì nel 104 a.C. sedò un tumulto di folla) e che sarebbe la odierna zona di Anzalone, da cui prese il nome di Aci Aquilia. (Secondo altri, invece, il nome risalirebbe direttamente al periodo romano).

Quindi il castello ritornerà al demanio nel 1239 quando l'imperatore Federico II di Svevia rimosse il vescovo Gualtiero di Palearia.

Nel 1277 il borgo attorno al castello contava 1.200 abitanti (183 "Fuochi").

il Vespro e la guerra con gli Angioini


Alla fine del XIII secolo, durante il breve periodo angioino il castello passò di nuovo al vescovo di Catania. Durante i Vespri, a cui il borgo parteciperà, Federico III d'Aragona concesse l'Università di Aci all'ammiraglio Ruggero di Lauria nel 1297. La concessione prevedeva che annualmente, il giorno di Sant'Agata, venisse pagato un canone di 30 oncie d'oro al vescovo di Catania, cosa che poi in realtà non avvenne. Fu il riconoscimento ufficiale della Università di Aci, formata dal castello e dal territorio delle Aci. Dopo alcuni anni, quando Ruggero di Lauria passò con gli angioini contro la corte aragonese, il re Federico fece espugnare il castello, usando una torre mobile di legno chiamata Cicogna, ripredendola nel demanio. Nel 1320 Federico III d'Aragona cedeva il territorio del Castello di Aci (ormai di proprietà di Margherita di Lauria, discendente di Ruggero) a Blasco II Alagona al quale successe il figlio Artale I . Nel 1326 avvenne il saccheggio da parte delle truppe di Roberto d'Angiò comandate da Beltrando Del Balzo (o Beltrand de Boiax).

Nel 1329 il territorio fu nuovamente sconvolto da un terribile terremoto e da una eruzione che ne investì in parte il territorio. Dalla nuova ricostruzione, stavolta più a nord nasceva Aquilia Nuova, così chiamata per distinguersi dalla precedente che fu detta la Vetere

Nel 1353 morì nel castello di Aci il re Ludovico d'Aragona, di soli 17 anni.

Nel 1354 il territorio di Aci fu devastato ed il castello espugnato dal maresciallo Acciaioli, inviato in Sicilia da Ludovico d'Angiò.

Durante la rivolta anti-aragonese Artale II Alagona, insorse contro il re Martino il Giovane (nipote di Pietro IV d'Aragona), asseragliandosi nel castello. Solo dopo un lungo assedio del re il castello fu espugnato. Si narra che riuscì nell'impresa guastando il sistema di approvvigionamento idrico del castello, approfittando dell'assenza di Artale II (1396). Nel 1398 il re Martino il Giovane farà dichiarare dal Parlamento generale di Siracusa che "le terre acesi dovevano restare in perpetuo nel regio demanio", probabilmente per evitare che tornasse in mano ai baroni e favorendo così lo sviluppo dei tanti borghi che componevano l'Università. Nel 1399 venne dato un privilegio di "esenzione dalla dogana" al territorio. Nel 1402 il re Martino il Giovane fece del castello la sua dimora insieme alla seconda moglie Bianca di Navarra.

Nel 1404 il borgo contava 2.400 abitanti.

Ultimi baroni e demanialità


Nel XV secolo la terra di Aci passerà di mano diverse volte, fino al 1530. Nel 1421 il viceré di Sicilia Ferdinando Velasquez acquisì per 10.000 fiorini il territorio del castello di Aci e quello del vicino bosco. Il territorio quindi venne rinfeudata con molto malcontento popolare. Nel 1422 per sedare il malcontento della popolazione, il Velasquez su ordine del re Aragonese Alfonso il Magnanimo concesse la facoltà di organizzare una fiera senza dazi, chiamata la Fiera Franca, che ebbe notevole importanza. Dalla morte di don Velasquez (1434), la terra passerà all'infante di Spagna don Pietro e quindi ritornerà al re Alfonso (1437).

Nel 1439 il castello e la sua università passeranno alla famiglia Platamone, ai Moncada, ai Requisens e poi nel 1468 ai baroni di Mastrantonio. Il 28 agosto del 1528, gli abitanti offrirono all'imperatore Carlo V la somma di 20.000 fiorini, per rientrare nel Regio Demanio e riscattarsi dal potere baronale. L'imperatore accetterà l'offerta il 5 luglio del 1530 concedendo il mero et misto impero, confermando inoltre la concessione della Fiera Franca.

dal XVI secolo ad oggi


Dalla metà del XVI secolo si perderà la Università di Aci: il castello sarà distinto di fatto da Aquilia Nuova e dai casali, che nel frattempo si renderanno indipendenti, verrà quindi destinato prima a caserma e poi a carcere. Nel 1647 il castello verrà ceduto da Filippo IV di Spagna, per 7500 scudi al Duca Giovanni Andrea Massa. Subirà quindi i danni del Terremoto della Val di Noto dell'11 gennaio 1693. Rientrerà nel demanio comunale in epoca borbonica nel XIX secolo. Nello stesso secolo Giovanni Verga vi ambienterà la novella Le storie del Castello di Trezza Negli anni 1967-1969 verrà restaurato, e quindi dal 1985 è visitabile e sede di un Museo Civico.

La architettura oggi


Il castello sorge su di un promontorio di roccia lavica, a picco sul mare blu cobalto ed inaccessibile tranne che per l'accesso attraverso una scalinata in muratura. Il ponte levatoio in legno che oggi non esiste più, occupava parte della scalinata d'ingresso. Al centro della fortezza si trova la torre quadrangolare, il donjon fulcro del maniero. Rimangono poche strutture superstiti: l'accesso, che conserva i resti dell'impianto del ponte levatoio, il cortile dove si trova un piccolo orto botanico, diversi ambienti, fra cui quelli dove è accolto il museo e un cappella (secondo alcuni bizantina) ed un'ampia terrazza panoramica sul golfo antistante.
 
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