Cefalù è situato sulla costa siciliana settentrionale, a circa 70 km. da
Palermo, ai piedi di un promontorio roccioso. Fa parte del Parco delle Madonie.
Storia di Cefalù
Tracce di frequentazione del sito risalgono all'epoca preistorica, in particolare in due grotte che si aprono sul lato settentrionale del promontorio su cui sorse la città. A un insediamento pre-ellenico si riferisce la cinta muraria di tipo megalitico, datata alla fine del V secolo a.C., che circonda l'attuale centro storico ed è in gran parte ancora conservata, e il contemporaneo "tempio di Diana", un santuario costituito da un edificio megalitico, coperto con lastroni di pietra di tipo dolmenico che ospita una precedente cisterna più antica (IX secolo a.C.).
Nel IV secolo a.C. i Greci diedero al centro indigeno il nome di Kefaloidion, dal greco kefalé, ovvero "capo"; riferito probabilmente al suo promontorio.
Nel 307 a.C. venne conquistata dai Siracusani e nel 254 a.C. dai Romani, che le diedero in latino il nome di Cephaloedium. La città ellenistico-romana ebbe una struttura urbanistica regolare, formata da strade secondarie confluenti sul principale asse viario e chiusa ad anello da una strada che segue il perimetro della cinta muraria.
Nel periodo del dominio bizantino l'abitato si trasferì dalla pianura sulla rocca e restano tracce di lavori di fortificazione di quest'epoca (mura merlate), oltre a chiese, caserme, cisterne per l'acqua e forni). La vecchia città non venne tuttavia del tutto abbandonata, come prova il recente rinvenimento di un edificio di culto cristiano, con pavimento in mosaico policromo risalente al VI secolo.
Nell'858, dopo un lungo assedio, venne conquistata dagli Arabi, che le diedero il nome di Gafludi, e fece parte dell'emirato di Palermo. Di questo periodo si hanno tuttavia notizie scarse e frammentarie e mancano anche testimonianze monumentali.
Nel 1063 fu liberata dai Normanni di Ruggero I e, nel 1131, fu rioccupato l'antico abitato sulla costa, rispettando la struttura urbana preesistente: a questo periodo risalgono parecchi dei monumenti cittadini, quali:
* la chiesa di San Giorgio e il lavatoio di via Vittorio Emanuele
* Il chiostro del duomo e il "Palazzo Maria" (forse domus regia di Ruggero II) in piazza del Duomo
* l'Osterio Magno sul corso Ruggiero.
Precisamente al 1131 è datata in particolare la basilica cattedrale.
Tra la metà del XIII secolo e il 1451 passò sotto il dominio di diversi feudatari e da ultimo divenne possedimento del vescovo di Cefalù.
La storia successiva di Cefalù si può assimilare a quella della Sicilia e del resto dell'Italia. Nel 1752 vi si iniziano a stabilire i consolati stranieri (Francia, Danimarca, Olanda, Norvegia e Svezia) e la città diventa meta del Grand Tour. Durante il Risorgimento vi venne fucilato il 14 marzo 1857 il patriota Salvatore Spinuzza. Dopo lo sbarco di Garibaldi la città proclamò la sua adesione al Regno d'Italia nel gennaio del 1861.
Oggi è una località marina e una meta turistica per le sue spiagge e le opere d'arte che conserva.
Monumenti
Il centro storico di Cefalù, ha un impianto medievale caratterizzato da strade strette, pavimentate con i ciottoli della spiaggia e il calcare della Rocca.
Basilica-Cattedrale
Secondo la leggenda il duomo ("basilica cattedrale") di Cefalù sarebbe sorto in seguito al voto fatto al Santissimo Salvatore da Ruggero II, scampato ad una tempesta e approdato sulle spiagge della cittadina. La vera motivazione sembra piuttosto di natura politico-militare, dato il suo carattere di fortezza.
Le vicende costruttive furono complesse, con notevoli variazioni rispetto al progetto iniziale, e l’edificio non fu mai completato definitivamente. Un ambulacro ricavato nello spessore del muro e la medesima copertura, costituita da tre tetti, di epoca e tecnica costruttiva diversi, testimoniano dei cambiamenti intervenuti nel progetto.
Storia costruttiva
Il duomo sorse su un’area già da tempo urbanizzata, al di sopra dei resti di una strada romana ed un mosaico paleocristiano).
L'edificazione ebbe inizio nel 1131 e nel 1145 furono realizzati i mosaici nell’abside e sistemati i sarcofagi porfiretici che Ruggero II aveva destinato alla sepoltura sua e della moglie.
Dal 1172 si ebbe un progressivo abbandono e nel 1215 Federico II trasferì a Palermo i due sarcofagi reali. Subito dopo, probabilmente, fu intrapresa la definitiva sistemazione della parte esterna e la facciata fu completata nel 1240. La Cattedrale venne consacrata nel 1267 dal cardinale Rodolfo, vescovo di Albano. Infine tra le due torri fu inserito nel 1472 un portico, opera di Ambrogio da Como.
Il mosaico paleocristiano
Le esplorazioni condotte nel duomo durante gli studi propedeutici al restauro globale dell'edificio,hanno portato alla luce i resti di un mosaico policromo databile al VI secolo: un campo centrale di cui si conservano alcune figure (un colombo in atto d’abbeverarsi, resti di almeno altri due volatili, due alberelli e un fiore gigliato), incorniciato da un motivo a ogive e squame nei colori rosso, bianco e nero e, almeno su un lato, da una fila di quadrati in diagonale con rosetta centrale. Il repertorio decorativo trova confronti in Sicilia (basilica della Pirrera a Santa Croce Camerina) e, in Africa settentrionale, (edifici di culto di El-Djem, Sbeitla e Cartagine).
Il mosaico è da porre in relazione con una struttura muraria e con tre sepolture ed era verosimilmente pertinente ad una basilica bizantina, della quale non è però possibile ricostruire la planimetria a causa della presenza delle sovrastanti strutture del duomo. I materiali rinvenuti nei sondaggi attestano una frequentazione nell’area almeno fino all’VIII secolo, epoca in cui Cefalù divenne sede episcopale.
Descrizione
L’edificio è preceduto da un ampio sagrato a terrazzo, detto “turniali”, che in origine svolgeva la funzione di cimitero. Secondo la tradizione era stato realizzato con terra portata appositamente da Gerusalemme, sia per motivi religiosi, sia per la sua particolare composizione (forse la presenza di composti di arsenico) che le dava la caratteristica di mummificare rapidamente i corpi che vi erano sepolti. Nel 1851 era stato circondato da una recinzione in ferro battuto dal vescovo Proto. Successivamente venne ampliato e assunse l'attuale dimensione.
La facciata è inquadrata da due possenti torri, alleggerite da eleganti bifore e monofore e sormontate da cuspidi piramidali aggiunte nel Quattrocento e diverse l'una dall'altra: una a pianta quadrata e con merli a forma di fiammelle, che simboleggerebbe la mitria papale e il potere della Chiesa, mentre l'altra, a pianta ottagonale e con merli ghibellini, la corona reale e il potere temporale. Il portico quattrocentesco precede la facciata, con tre archi (due ogivali ed uno a tutto sesto) sorretti da quattro colonne e con volte a costoloni. Sotto il portico rimane la “Porta Regum”, impreziosita da un portale marmoreo finemente decorato, e con pitture ai lati.
Le absidi, in particolare quella centrale, dovevano avere in origine uno slancio ancora maggiore. Le due laterali sono decorate superiormente da archetti incrociati e da mensoloni scolpiti: databili fra il 1215 e il 1223, raffigurano maschere, teste d’animali e figure umane in posizioni contorte. Più recenti i mensoloni dell'abside centrale, disposti inoltre in modo casuale sia sopra che sotto il cornicione. L'abside centrale aveva in origine tre grandi finestre, che vennero sbarrate per la realizzazione del mosaico absidale, ed una più grande ad arco ogivale. Altre due coppie di finestre circolari sono all’estremità del transetto. Altre merlature si trovano anche su uno dei fianchi.
L’interno è "a croce latina", diviso in tre navate da due file di colonne antiche riutilizzate: quattordici fusti di granito rosa e due di cipollino, con basi e i capitelli del II secolo d.C. Due grandi capitelli figurati reggono l’arco trionfale e sono probabilmente prodotti di una bottega pugliese e risalgono alla metà del XII secolo.
Il transetto ha un’altezza maggiore rispetto alle navate ed uno slancio ancora maggiore era previsto nel progetto originario.
Il mosaico del presbiterio
La decorazione musiva, forse prevista per tutto l’interno, fu realizzata solamente nel presbiterio e ricopre attualmente l’abside e circa la metà delle pareti laterali. Per la sua realizzazione, Ruggero II chiamò maestri bizantini, di Costantinopoli, che adottarono ad uno spazio architettonico per loro anomalo, di tradizione nordica, cicli decorativi di matrice orientale.
La figura dominante è quella del Cristo Pantocratore che, dall’alto dell’abside, benedice con la destra alzata mentre con la sinistra regge il Vangelo aperto sulle cui pagine si legge, in greco e latino: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non vagherà nelle tenebre ma avrà la luce della vita” (Giovanni 8, 12).
Al centro, nel registro inferiore, è la Vergine orante elegantemente panneggiata e scortata dai quattro arcangeli.Nel secondo e terzo registro, ai lati del finestrone centrale, sono figure di apostoli ed evangelisti, distribuite secondo un preciso programma teologico. Nelle pareti laterali sono invece figure di profeti e santi. Nella decorazione della crociera sono raffigurati quattro cherubini e quattro serafini.
Sui due lati si contrappongono figure regali (parete destra, opposta al trono reale) e figure sacerdotali (parete sinistra, opposta al seggio episcopale. Tutte le figure sono accompagnate da scritte, in greco o in latino, che indicano il nome del personaggio.
La decorazione musiva fu realizzata entro il 1170, ma nella parte inferiore e sulla metà anteriore delle pareti del presbiterio venne completata nel Seicento, al di sopra di precedenti decorazioni pittoriche di cui restano scarse tracce.
Opere conservate
Della decorazione pittorica rimangono una figura di "Urbano V", della fine del XIV secolo, dipinta su una colonna della navata di sinistra, ed una "Madonna in trono" del XV secolo nel braccio sinistro del transetto.
All'interno il duomo ospita alcuni monumenti funerari, tra cui un sarcofago tardo antico, un altro medievale e il pregevole sepolcro del vescovo Castelli, opera dello scultore Leonardo Pennino (XVIII secolo).
Il fonte battesimale, ricavato da un unico grande blocco di calcare a lumachelle, è decorato da quattro leoncini scolpiti (XII secolo). Si conserva inoltre una "Madonna con Bambino" della bottega di Antonello Gagini (XVI secolo).
Si conservano ancora due organi dipinti, voluti dal vescovo Montoro alla fine del XV secolo che chiudono le navate verso il transetto e una grande croce lignea dipinta, opera di Guglielmo da Pesaro (1468 circa)
La cappella del Santissimo Sacramento (protesi) conserva la decorazione a stucco neoclassica, realizzata per tutto l'interno e successivamente asportata altrove. La cappella conserva inoltre un pregevole altare argenteo del XVIII secolo donato dal vescovo Gioacchino Castelli, opera di artigiani palermitani.
Il soffitto ligneo a capriate della navata centrale, unicum rimasto di carpenteria normanna, presenta una decorazione dipinta con busti, animali fantastici e motivi decorativi, sicuramente opera di maestranze arabe del XII secolo.
Chiostro
Annesso al duomo è un elegante chiostro con colonne binate sormontate da capitelli figurati, fra i più notevoli esempi di scultura medievale in Sicilia.
Altre Chiese
L'Itria (Odigitria)
La chiesa sorge nella piazzetta Crispi, addossata al bastione di capo Marchiafava. In origine si trattava di due chiese contigue, San Giovanni Evangelista e Santa Maria dell'Odigitria, comunemente detta "dell’Itria". La prima, probabilmente di origini cinquecentesche, apparteneva alla confraternita dello stesso titolo, citata in atti notarili del 1509 e del 1535. La seconda era in origine una cappella, intitolata a San Michele Arcangelo, anch'essa di proprietà della confraternita. In seguito ceduta al vescovo Ottaviano Preconio, che istituì la confraternita di Santa Maria dell’Itria (o di S. Nicola da Tolentino) e la cappella venne presto trasformata in chiesa e oratorio.
Le due chiese divennero un'unica parrocchia nel 1961, con il titolo dell’Itria e di San Giovanni e i due edifici vennero unificati, aprendo delle arcate sulla parete in comune e creando all'esterno con un unico, anonimo prospetto.
Sant'Oliva
Si trova sul lato sud di via Candeloro, nel rione della Giudecca,alle spalle dei Seminario Vescovile. Fu edificata nel 1787 ed è sede della devozione del "settenario".
La semplice facciata, affiancata da due piccoli campanili, presenta un portale in tufo con arco a tutto sesto, sormontato da una finestrella ad arco ribassato e con coronamento a timpano. Lo scalino di ingresso reca la data di edificazione della chiesa. L'interno è a navata unica.
San Sebastiano
Prospetta su piazza Marina e risale forse al 1523, data che si leggeva sull'antica facciata. Dipende attualmente dal "collegio di Santa Maria", istituito (1743-1770) dal vescovo Gioacchino Castelli nell'adiacente convento di Santa Maria di Monte Carmelo. Il convento era stato fondato nel 1578 ad opera di frate Alberto da Monaco e fu successivamente ingrandito da Matteo Orlando, vescovo di Cefalù (1674 -1694).
La chiesa ha navata unica, con due nicchie affrescate per lato sulle pareti laterali. Sull'altare maggiore si conserva un tabernacolo dorato tardo-seicentesco.
Sant'Andrea
Sorge in fondo a via Porto Salvo, quasi in asse con Porta Pescara o Porta di Mare. La chiesa apparteneva al convento dei frati Minori Osservanti, fondato nel 1560 presso la precedente chiesa di Santa Maria di Porto Salvo. Il convento è oggi scomparso e la chiesa è sconsacrata e utilizzata come sede dell'"Associazione dei marinai d'Italia": ne restano visibili solo due portali architravati. Da qui proviene la statua marmorea di scuola Gaginesca "Madonna con il Bambino", oggi nel Palazzo vescovile.
San Leonardo
Si trova sul lato sud di via Porto Salvo. Originariamente dedicata a San Giorgio, viene citata in documenti del 1159 e del 1252 ed è attribuita (Fazello, Carandino, Passafiume, Auria) ad una fondazione di Ruggero II precedente a quella del duomo. Venne restaurata nel 1558 e sembra aver quindi ricevuto la titolatura attuale. Nel 1648 fu annessa alla "Casa delle orfanelle riparate" dal vescovo Marco Antonio Gussio e nel 1875 fu nuovamente restaurata dal vescovo Ruggero Blundo.
Restano tracce dell'originario portale centrale, attualmente tamponato, con arco a sesto acuto in conci di pietra e colonnine binate con capitelli a motivi floreali, poggianti su palmette che richiamano simili decorazioni del duomo. L'interno a navata unica, presenta sul fondo un coro con due tribune sovrapposte:, quella superiore affacciata sulla navata con un profondo arcone. La parte inferiore dell'arcone è chiusa da un muro sul quale si aprono tre arcate della tribuna inferiore, più grande quella centrale: le arcate sono decorate da cornici in stucco e danno accesso a cantorie settecentesche in legno scolpito e dipinto attribuite al pittore cefaludese Osnago, sporgenti sulla navata.
Immacolatella
Sul lato nord di via Mandralisca, di fronte al palazzo Piraino, venne edificata nel 1661 dal sacerdote Matteo Piscitello e dedicata all'Immacolata, dichiarata patrona della città nel 1655. Ospitava la congregazione del Santissimo Salvatore, che aveva il compito di assistere i moribondi. La chiesa è stata restaurata nel 1986.
La semplice facciata ha un portale cuspidato, sormontato da un piccola finestra circolare, e cantonali a freccia terminanti con una palla in pietra. L'interno è ad una sola navata e sopra l'altare si conserva in una nicchia una statua della Vergine con decorazioni in argento.
Oratorio del Santissimo Sacramento
L'oratorio si trova in via Passafiume e venne edificato nel 1688 come sede della "confraternita del Santissimo" (o "confraternita dei Bianchi", in contrapposizione a quella "dei Neri" della chiesa del Purgatorio).
Nel basamento è stato reimpiegato un blocco in calcare con l'iscrizione funeraria in greco a "Sosis il ghiottone", proveniente dalla necropoli ellenistica.
La facciata, preceduta da una breve scala, presenta due portali gemelli scolpiti, sormontati da un occhio circolare, e termina superiormente con un cornicione molto sporgente. Al di sopra un timpano mistilineo, dove si aprono tre finestre arcuate, quella centrale con campana.
Cappella di San Biagio
Presso il Lavatoio Medievale, sul lato nord di via XXV Novembre, risulta dall'unione delle due piccole chiese dedicate a San Crispino (fondata nel 1580) e a San Biagio (del 1502, in seguito al trasferimento della dedica di una precedente chiesa extraurbana), entrambe di proprietà della famiglia Martino. Secondo il Bianca, nel 1660 la chiesa avrebbe accolto delle reliquie del santo portate da Roma.
La chiesa ha semplice facciata a capanna, con portale timpanato, sormontato da un'ampia finestra arcuata. Il campanile, poco più alto della facciata, presenta una finestra semicircolare alla sommità. Su uno dei fianchi sono presenti altre due finestre semicircolari. L'interno, a pianta quadrata e decorato da modanature in stucco, ha un ingresso delimitato da due colonne che sorreggono un arcata, mentre un ambiente sul fondo, di modeste dimensioni, ospita l'altare.
Santo Stefano protomartire o Chiesa del Purgatorio
La chiesa prospetta su una piazzetta aperta su corso Ruggero. L'isolato era in precedenza occupato da diverse costruzioni, tra le quali una precedente chiesa di Santo Stefano e la cappella di Santa Margherita, fondata nel 1466 dalla famiglia Giaconia e abolita agli inizi del Seicento.
La chiesa di Santo Stefano, inizialmente affidata alla omonima confraternita, era passata nel 1601 a quella "delli Nigri" (o "delle Anime purganti", fondata nel 1596 come continuazione della precedente confraternita "della morte"). La confraternita acquistò gli immobili adiacenti alla propria chiesa ed edificò la nuova chiesa del Purgatorio, la cui facciata venne terminata nel 1668. Nel 1868 la pavimentazione della piazza esterna venne ribassata. Dal 1895 è la sede anche della "congregazione della Vergine", appena istituita. Nel 1927 si svolse un restauro: furono fatti gli intonaci del prospetto esterno, messi in simmetria i muri della base e sistemata la finestra del prospetto. La facciata è preceduta da una scenografica scalinata a doppia rampa e presenta un portale barocco. In origine aveva due torri: quella di destra, incompleta, è in parte nascosta da un edificio successivo, mentre quella di sinistra, culminante in una cuspide, svolge le funzioni di campanile. L'interno della chiesa è suddiviso in tre navate distinte da colonne con fusti monolitici. Vi si trovano la cappella del Crocifisso e quella di San Pietro, fondata nel 1614, che ospita una statua dell'Addolorata di cui aveva cura la "nazione dei macellai".
Sopra l'altare maggiore si trova un grande dipinto del 1813 ("Cristo che impartisce l'eucaristia alle anime in pena"). Nel 1867 vi fu traslata la sepoltura del barone Enrico Piraino di Mandralisca, con un sarcofago in marmo, opera di Emanuele Labiso.
Santissima Trinità
Si trova alle pendici della Rocca ed apparteneva in origine alla omonima confraternita, la cui esistenza è attestata già nel 1430. La chiesa venne ricostruita nel XVI secolo, secondo una tradizione non documentata con la collaborazione di Jacopo Del Duca. Era annessa al successivo convento di San Domenico.
La facciata, intonacata, presenta un portale decorato con motivi floreali, festoni e testine di angeli.
L'interno è a tre navate, separate da file di colonne sormontate da archi a serliana, che sono stati attribuiti al progetto di Del Duca (Lanza Tomasi), mal realizzato. Le navate terminano in un abside centrale fiancheggiata da altre due più piccole
Santissima Annunziata
È ubicata lungo il corso Ruggero, di fronte al palazzo dell'ex Municipio. Costruita presumibilmente intorno al 1511, fu danneggiata nel 1964 per il crollo dell'edificio adiacente.
Sulla facciata presenta un grande rosone, che sormonta il portale scolpito con un rilievo dell'"Annunciazione", Il portale è stato smontato e rimontato più in basso nella seconda metà del XIX secolo in seguito all'abbassamento del piano stradale, che ha comportato anche la creazione di due scale interne. Il campanile non molto alto, fiancheggia la facciata e presenta una bifora.
L'interno è a pianta rettangolare allungata e a navata unica, con abside sul fondo. Al di sotto della chiesa è un'ampia cripta destinata in passato alle sepolture: secondo la tradizione vi sarebbe stato sepolto Jacopo Del Duca e fino alla metà del XX secolo vi erano conservati i corpi mummificati dei membri di alcune famiglie nobili locali. Nella chiesa era venerato anche san Rocco, nominato patrono della città nel 1530 e vi era custodita inoltre una statua lignea dell'"Addolorata" (oggi nella chiesa di San Francesco) che tradizionalmente viene portata in processione il venerdì santo.
Santa Maria della Catena o dell'Addoloratella
La chiesa sorge in piazza Garibaldi, dove venne fucilato il patriota Salvatore Spinuzza, nei pressi della Porta Reale (demolita nel 1787). A causa della sua posizione presso l'ingresso principale della città, i vescovi di Cefalù vi indossano i paramenti sacri prima del corteo del loro solenne ingresso nella diocesi.
La chiesa venne compiuta nel 1780 ad opera della famiglia Legambi, a cui si sostituì in seguito nel patrocinio la famiglia D'Anna. Nel 1790 Pietro Legambi vi fondò il "collegino dell'Addolorata", che doveva proseguire l'opera della "comunità della Santa Vergine Addolorata", fondata prima del 1642 presso la chiesa di Santa Maria di Gesù al Borgo). Nel 1902 vi venne istituito un altare con una statua dedicato a santa Maria della Catena, in ricordo di un miracolo avvenuto a Palermo alla fine del XIV secolo
La facciata in tufo giallo presenta una loggia di ingresso con ampio arco a tutto sesto sorretto da coppie di pilastri con capitelli ionici, ai cui lati sono nicchie con statue. Al di sopra della loggia un'altra nicchia fiancheggiata da due finestre ospita una statua della Madonna. Il portale di accesso, all'interno della loggia, è sopraelevato di alcuni gradini.
Sul campanile, che ingloba nella base resti delle mura megalitiche, furono collocati nel 1881 due orologi, per i quali fu necessario rialzare di un piano la torretta terminale e per la cui suoneria si riutilizzarono due delle tre campane del convento di Santa Caterina.
L'interno è ad una sola navata, illuminata dalle finestre della facciata e del fianco meridionale.
Monastero e Chiesa di Santa Caterina
Il monastero femminile benedettino occupa un'area di 2.500 mq di fronte al duomo. Dell'originaria costruzione del XII-XIII secolo restano il portale dell'ingresso principale, ad arco acuto in conci di pietra squadrata, un prospetto di una piccola finestra squadrata e i resti di quella che poteva essere una bifora. Il monastero accoglieva monache dalla famiglie nobili della città e nel Settecento venne modificato in modo da assumere le caratteristiche dei palazzi nobiliari del tempo. Con l'abolizione degli ordini religiosi nel 1866 divenne proprietà statale e fu adibito a distretto militare: per le nuove esigenze vi fu innalzata una torre quadrangolare addossata al muro di cinta. Dagli anni Cinquanta vi ha sede il "Palazzo di Città".
Il chiostro di pianta rettangolare era di raccordo a tutti gli ambienti del complesso monastico (chiesa, ambienti per la vita comunitaria, officine, cellerie). La chiesa, attualmente sconsacrata ed utilizzata per mostre e convegni, presenta una pianta ottagonale, con un abside forse attribuibile all'architetto Giovanni Biagio Amico (1684-1754). Resta ben poco del decoro barocco e neoclassico.
Chiesa di Santa Maria fuori le mura
La chiesa si trova in via Umberto I e fu costruita nel 1686, per volere di Monsignor Pietro Cimino, decano della cattedrale e menbro del tribunale dell'inquisizione, là dove sorgeva un tempo una cappella dedicata a San Vito. E' ad unica navata, con tetto in legno a capriate. All'interno, vi è una ricchissima decorazione ad affresco in gran parte ben conservata.
Inoltre, possiamo ammirare quattro nicche contenenti delle statue e delle tele. La chiesa ha una facciata ad intonaco liscio, decorata in modo molto semplice. E' stata restaurata recentemente, ma soltanto all'esterno.
Altri Edifici
Palazzo Vescovile e seminario
L'attuale impianto del Palazzo Vescovile si deve al vescovo Francesco Gonzaga alla fine del Cinquecento e l'edificio fu completato dal vescovo Francesco Vanni, alla fine del Settecento, dandogli forma di palazzo signorile secondo il gusto e lo stile del tempo. Il suo stemma con la data 1793 campeggia sopra il portale d’ingresso. Sul cortile prospettano le tre facciate interne del palazzo, ritmate dai balconi con cornici in tufo, con coronamento alternativamente a timpano e arcuato. Il lato in cui si apre il portale d’ingresso è dato da un corpo basso con copertura a terrazza, che permette la comunicazione con il contiguo seminario. Recentemente l’aggiunta di un piano ha appesantito il complesso.
Il seminario venne fondato presso il palazzo vescovile dallo stesso vescovo Francesco Gonzaga nel 1590. Presenta una facciata suddivisa in tre settori di ampiezza irregolare. Il settore di destra, più ampio è ripartito da larghe lesene coronate da mensole sporgenti e ha al centro un balcone al piano nobile, con cornice e timpano in tufo; al di sotto si aprono un portale e due finestre, prive di decorazioni. Gli altri due settori sono ripartiti da lesene, più strette, limitate alla parte superiore e presentano balconi maggiormente articolati, con timpano ad arco spezzato e cornici marcate, in pietra lumachella; l’ultimo piano, ha una breve loggetta e una cornice aggettante.
Monte di Pietà
Venne fondato sulla Via Mandralisca nel 1703 dal vescovo Matteo Muscella. Presenta un prospetto in pietra grigia, con portale barocco in pietra lumachella. Al secondo piano sono ancora conservati gli arredi settecenteschi e una cassaforte che serviva alla custodia degli oggetti più preziosi depositati.
Palazzo Atenasio Martino De Spuches dei baroni di Roccavaldina
Sito nella piazza del Duomo, risale al XV secolo, ad opera della famiglia Burragato. Fu ampliato nel Cinquecento, inglobando alcuni edifici contigui, ad opera della famiglia Ruffino. Verso la fine del Settecento passò in proprietà ai baroni di Rocca e Valdina.
In origine il palazzo, limitato al piano nobile, si articolava attorno ad una grande corte quadrata, con pozzo o cisterna, che presentava un'imponente scalone di accesso in pregiata pietra lumachella. Nella seconda metà dell’Ottocento in proprietà della famiglia Atenasio Martino De Spuches, fu soprelevato il secondo piano e per accedere ad esso fu aperto un ingresso da corso Ruggero e il grande scalone d’accesso al primo piano fu coperto da una nuova scala che tra l'altro invase in buona parte la corte originaria.
In proprietà della N.D. Teresa Maranto, recentemente nell’androne del cortile sono stati riportati alla luce degli affreschi del XVI secolo, tra cui una adorazione della Croce con i Santi Francesco D'Assisi e Francesco da Paola di pregevole fattura.
Rimane sul prospetto il portale di tufo ottocentesco.
Palazzo Legambi
È un palazzo settecentesco, innalzato di fronte la torre sud della cattedrale dalla famiglia Legambi in stile neoclassico. La facciata presenta sul piano nobile una partizione a lesene, che inquadrano balconi con timpani alternativamente triangolari e semicircolari. Le altre aperture sono delimitate da semplici cornici piatte. Interessanti il portale decentrato in relazione alla situazione topografica, e le decorazioni in conci di tufo giallastro, che spiccano sul resto delle parti intonacate.
Palazzo Maria dei baroni di Alburquia
Il palazzo, di origini duecentesche, subì diverse modifiche nel corso del tempo. Passò in proprietà della famiglia Maria, dei baroni di Alburquia, che si era stabilita a Cefalù intorno al 1599. Nei primi anni dell’Ottocento fu soprelevato di un piano. Fu in seguito adibito a convitto maschile ed in seguito come sede di uffici.
La facciata presentava in origine il piano nobile articolato dalla scansione delle bifore e il piano terra con la trasformazione a botteghe attuata nel Cinquecento. L’origine medievale è attestata dal portale ogivale in conci squadrati e cordoli concentrici sorretti da due leoni. Su un prospetto laterale si apre una finestra ogivale, con ghiera decorata a fogliame di chiara ispirazione catalana; la finestra è inserita in un grande arco in conci di tufo squadrati, solo in parte leggibile, sopra la cui chiave di volta si trova a coronamento un fregio a fogliame sovrapposto, di forte vibrazione plastica.
Palazzo Pirajno dei baroni di Mandralisca
Il palazzo cinquecentesco sorge in piazza del Duomo. La facciata presenta un manieristico portale bugnato in pietra tufacea, sormontato da uno stemma marmoreo della famiglia Pirajno,(un albero a cui s’appoggia un leone rampante). Il cortile presenta una scala esterna di stile spagnolo ed una balconata su grosse mensole scolpite in pietra arenaria.
Osterio Magno
Secondo la tradizione il palazzo sarebbe stato costruito per ordine di Ruggero II per farne la sua dimora. Nel XIV secolo il palazzo fu di proprietà della famiglia Ventimiglia e venne forse in realtà costruito in quest'epoca. All'inizio del XVII secolo il palazzo fu ceduto ai frati domenicani e in seguito fu suddiviso in appartamenti e botteghe,
In pianta si presenta come un quadrilatero con corte interna, dove si trovava lo scalone di accesso al piano nobile. All'interno di una sala al pianterreno si conservano i resti di un pozzo. Sono forse di epoca normanna, fino ad una certa altezza, le mura della torre quadrangolare. Sia sui prospetti esterni che all'interno si conservano bifore e trifore e tracce di una decorazione lapidea bicromatica di vaga ascendenza pisana, che risalgono probabilmente alla prima fase del palazzo.
In seguito ad alcuni scavi effettuati all’interno della costruzione, sono venuti alla luce resti di edifici di epoca ellenistica, monete di bronzo del IV secolo a.C. e alcune ceramiche, in esposizione permanente all'interno dello stesso edificio
Lavatoio Medioevale
Su via Vittorio Emanuele vi è il lavatoio pubblico conosciuto come “Lavatoio medioevale”, presso il tardo-rinascimentale palazzo Martino. Nel 1514 fu demolito e ricostruito in posizione più arretrata rispetto alle mura cittadine e il fiume che scorreva a cielo aperto venne coperto nel XVII secolo. Nell’estate del 1991 sono stati ultimati i lavori di restauro.
Il lavatoio si presenta con una scalinata in pietra lavica che conduce ad una pavimentazione levigata dal tempo e ad una serie di vasche che si colmano con le acque che scorrono da ventidue bocche di ghisa (di cui quindici teste leonine) disposte lungo le pareti sovrastate da basse volte. Attraverso un piccolo antro, l’acqua raggiunge il mare. Nelle vasche sono evidenti gli appoggi che servivano per strofinare i panni.
Teatro Comunale
Sito in via Spinuzza, di proprietà dei baroni di Bordonaro, ha avuto una storia travagliata: chiuso e riaperto parecchie volte, fu addirittura adibito a lazzaretto in occasione di un’epidemia di peste. Dagli anni '20 fu utilizzato anche come cinema, Fu abbandonato negli anni '80 e passò in proprietà del Comune che ne ha iniziato i restauri,e li finì nel 2008.
La sala ha tre ordini di palchi. Conserva una decorazione pittorica del 1885 di Rosario Spagnolo (tela del soffitto, fondali e sipario).
Feste e Folclore
'A vecchiastrina
Secondo il folklore cittadino, "'a vecchiastrina" è una figura di vecchia benefica che la sera del 31 dicembre porta doni ai bambini buoni e carbone e cenere per quelli cattivi, come in altre città siciliane fanno "i morti". Nei giorni precedenti ai bambini si raccomanda di non fare troppo rumore perché “a vecchiastrina ru casteddu si ‘nnadduna”: la sua dimora è infatti immaginata sulla Rocca. La sera della vigilia i ragazzi più grandi girano per le strade suonando "i rinala" (vasi da notte), mentre ai bambini che vanno a dormire si raccomanda di tenere gli occhi chiusi, se non vogliono che la vecchia venga "cu spitu 'nfucatu" a bruciare loro gli occhi.Recentemente è ritornato l'uso di suonare a "trumma ri mari",la tromba di mare, nel silenzio della notte.
L'ottava del Corpus Domini
L’"ottava del Corpus Domini" corrisponde agli otto giorni del mese di giugno, da giovedì a giovedì, nei quali si celebrava la festa del Corpus Domini, con le processioni degli aderenti alle varie corporazioni che portavano i grandi stendardi custoditi all’interno della Cattedrale.
Le corporazioni riconosciute dalla città, che si alternavano nei giorni di festa erano:
“i mastri nichi”: i giovani "mastri" delle varie categorie artigiane;
“i uccera”: ossia i macellai,
“i piscatura": i pescatori, un tempo considerato la forza economica della città;
“i viddani”: i contadini, ai quali era affidata l’organizzazione dei carri allegorici ispirati alla vita dei campi e ai prodotti della terra, le primizie;
“i marinara ri riviela”: i marinai di velieri, che nonostante provenissero per la maggior parte dal ceto dei pescatori si distinguevano per la loro esperienza di navigazione;
“i parrini”: i sacerdoti, che avevano un particolare riguardo sociale, oltre – s’intende – un certo rilievo economico;
“i valantuomini” o galantuomini: un ceto aristocratico che in Sicilia, come pure a Cefalù, assolveva un ruolo di primo piano;
“i mastri ranni”: letteralmente i maestri grandi, ossia la maestranza per eccellenza, che si esprimeva perlopiù nel settore edile ed artigianale, specificatamente, nel settore dell’ebanisteria.
In occasione dell’ottava, ed esattamente la domenica si faceva "a fruottula”, termine con cui si intendeva non una poesia suscettibile d’essere musicata, ma la sfilata di carri allegorici lungo le vie del paese, con in testa un tamburo rullante costantemente. I carri rappresentano con i fiori, il “Santissimo Sacramento” e la vita contadina. Subito dopo il suonatore di tamburo (“tammuraru”) vi sono “frotte” di bambini che portano i “cucciddati”, pani a forma di ciambella realizzati con la farina del primo frumento dell’anno, che vengono appesi su dei bastoni, e i bambini gridano l’espressione augurale: “Viva ‘u pani”. Anticamente, quando ogni strada aveva il nome di un santo, la "fruottula" si fermava e venivano recitate delle nenie inneggianti alle virtù dei cristiani.